martedì 9 febbraio 2010

Arsenicum Album

Nonostante fosse illetterata, la zitella si trovò immersa nei libri. Le era preso come un languore, un insaziabile insano appetito; in realtà era il richiamo di un mondo sommerso la cui eco riaffiorava fino alla sua coscienza - e la sventurata rispose.
Si liberò di ogni zavorra e prese ad odiare quegli orpelli a cui non poteva rinunciare, per necessità, per abitudine o per paura. Ma quando si trovò tanto più nuda quanto il suo pudore e la sua vanità le concedevano, si sporse a testa alta sullo scoglio, lo sguardo all'indefinito, il petto gonfio, e si abbandonò.
La sola cosa che non gettò e che rimase dopo di lei, quasi come i resti della ballerina e del soldatino di piombo tra la cenere del camino, era una nastro di velluto rosa carne appeso a un chiodo.

domenica 7 giugno 2009

Luna Piena in Sagittario. Nessun lampo all'orizzonte

Gabrielle

Coco avant Chanel
non è un film particolarmente degno di nota, né bello, né profondo. Racconta la vita di Coco prima della moda; una vita, almeno per come la descrive il film, non particolarmente movimentata, ma forse questa è un'impressione di chi guarda il film sapendo cosa sarebbe successo a Coco dopo.
A dispetto di questo e dell'inevitabile storia d'amore che domina la narrazione e la resa robotica di Audrey Tatou, che ha principalmente il merito di somigliare sì e no all'originale, si riesce a percepire chi era Coco. Personalmente ritengo che non fosse così figa di legno come Audrey (dev'essere il glamour commerciale di questo nome) ma decisamente più ruspante; eppure riesce ad emergere la visione anticonformista di questa donna. Una visione quasi profetica, così illuminante da riuscire a definire non solo i canoni di uno stile senza tempo, ma anche l'apice concettuale della moda del XX secolo e di questi primi disordinati anni del XXI, delineando non solo uno stile ma una tipologia di donna. Anzi: l'archetipo della donna contemporanea tradotto in termini pratici, e non sto parlando di perle false né di borsette trapuntate né di profumi.
Quell'archetipo era Coco stessa, Gabrielle che, mi piace pensare, preferiva a quel ridicolo soprannome l'epiteto che meglio la distingueva, come una donna che bastava a se stessa - lo chic di tutta una vita e un pensiero, in un nome: Mademoiselle.

martedì 2 giugno 2009

Terzo quarto di Luna; Festa della Repubblica (Privata)

Il vicino tamarro

Il buon vicinato è un grande esempio di civiltà, quindi è raro.
A parte l'altrettanto raro caso del potersi permettere di comprare gli stabili adiacenti al proprio, o affittare gli appartamenti sopra e sotto a quello dove si vive, bisogna rassegnarsi ai vicini alla stregua di come si accettano i genitori: non li abbiamo scelti, ma ce li teniamo.
Vero è però che se un genitore rappresenta un coinquilino più o meno bene accetto, di cui nella maggior parte dei casi ci si libera raggiunto l'agognato traguardo dell'indipendenza (vera o presunta tale), un vicino è un'incognita variabile impazzita dalle conseguenze imprevedibili.
Certo non sempre: ci sono vicini che sono discreti anche quando l'ambulanza li viene a prelevare nel cuore della notte per un malore, così discreti che non si permettono nemmeno di fare presente che sì, avevano effettivamente visto un individuo sospetto aggirarsi nei paraggi proprio il giorno del furto in casa vostra, ma non hanno detto nulla per non disturbare.
Questo, chiaramente, non è buon vicinato, ma è senz'altro meglio che avere un vicino tamarro. Costui è solitamente un ragazzo vicino alla trentina, scapolo; la pancia gonfia di birra, il gel nei capelli, gli occhiali a mascherina, il vicino tamarro annuncia il suo arrivo nella via con la musica (tamarra, ça va sans dire) che esce dai finestrini abbassati della macchina, modello sportivo, che egli parcheggia spesso e volentieri in divieto di sosta. Dopodiché entra in casa, spalanca le finestre e accende la tv, ovviamente ad un volume che consenta a tutti gli altri vicini di non avere dubbi su quello che lui sta guardando. La tv rimane accesa anche a sera inoltrata, anche durante la settimana, anche presumendo che egli si alzi presto al mattino per andare a lavorare. Se la tv viene spenta prima del solito, significa che il vicino tamarro s'è portato a casa una ragazza, come testimoniano, sempre a finestre spalancate, il ritmico cigolio e i gemiti in dolby surround.
Capita, grazie a favorevoli congiunzioni planetarie, che egli si degni di fare le pulizie, raccogliendo famiglie intere di micetti (fam. per palle di polvere) che poi vengono gettate dal balcone sui fiori di quello di sotto - libera interpretazione del concetto di raccolta differenziata. Il balcone, oltre a fungere da trampolino per schifezze varie, ospita dei panni messi a stendere e poi dimenticati lì, sotto pioggia, vento, grandine, fulmini e saette, e due vasi di marijuana che prendono beatamente il sole tutto il giorno e che egli cura con straordinaria dedizione, suscitando l'invidia dei vicini per il suo pollice verde.

sabato 25 aprile 2009

Salone del Mobile; Luna Nuova, in Toro; Tempo instabile

Parolacce

Bisogna saperle dire. Sono come le citazioni: una in una conversazione è trasgressiva e dà un pathos, mascalzone, anche alla più banale delle ovvietà che viene messa in campo. Due o peggio tre fanno coatto, iroso e senza idee. Parolaccia di gran moda è cazzo. Ma sempre in bocca alle signore. Un signore che lo dice sta male. Il corrispondente al femminile è impresentabile a meno che non sia descritto di signora o signorina all'orizzonte. In tal caso non è considerata parolaccia perché fa talmente piacere alla persona a cui è diretto che da turpiloquio diventa complimento, irriverente, ma abbastanza "portato". Anche a sproposito. Soprattutto dai giovani o da chi si deve far perdonare qualcosa.
Come sempre non è tanto quello che si dice ma come lo si dice. Il tono della voce nel dire le parolacce è tutto. E' d'uso dire una parolaccia in un momento di entusiasmo o di sconforto, è considerato grossolano dirle quando uno è arrabbiato con qualcuno che non sia se stesso. Insomma, le parolacce si portano ma hanno severissime regole di galateo. Rispettarle significa essere alla moda. Infrangerle significa essere dozzinale. Situazione quest'ultima più imperdonabile di una bestemmia. Le parolacce per i bambini sono come le medicine: tenerle lontane da loro. Sono gli unici che le pronunciano dandogli il loro vero significato.

da Lina Sotis, Il colore del tempo, Rizzoli

domenica 12 aprile 2009

Luna appena calante, in Bilancia

La data della Pasqua

La Pasqua è una festa mobile perché si basa sulla luna: cade la domenica successiva al plenilunio che segue l'equinozio di primavera. Il collegamento della festa con la luna è dovuto alla narrazione evangelica della Passione e Resurrezione di Gesù, avenute durante la Pasqua ebraica, Pesach, che si cominciava a celebrare, come oggi d'altronde, la sera del 14 del mese di nisan, ovvero al plenilunio del primo mese lunare dopo l'equinozio.
Pesach significa letteralmente "saltar oltre" in ricordo della notte in cui il Signore "saltò oltre" ovvero oltrepassò le case degli Ebrei in Egitto, contrassegnate dal sangue dell'agnello sacrificato, risparmiandone i figli maschi [...]
La Pasqua può variare dal 22 marzo (l'ultima fu nel 1818, la prossima nel 2285) al 25 aprile (l'ultima fu nel 1943, la prossima nel 2038); si dice infatti:
"Di marzo al ventidue
vien la pasqua più bassa
D'aprile al venticinque
ci arriva e mai li passa"
In ogni modo la Paqua cade prevalentemente nel mese di aprile. Ma la data del 25 è considerata infausta, come spiega un proverbio emiliano:
"Vinla alta, vinla bassa,
San Marco la 'n la passa"
venga alta, venga bassa, San Marco non lo passa, cui fa eco un altro [proverbio] veneto:
"Co San Marco pasquegava
tutto 'l mondo in guera stava"
e così succedeva nella Pasqua del 1943. Ma il 23 aprile, festa di San Giorgio, non è da meno, tant'è vero che si avverte:
"Quando San Giorgio viene di Pasqua
per il mondo c'è una gran burrasca"
[l'ultima è stata nel 2000, la prossima nel 2079 - possiamo tirare il fiato, ndb]

da A. Cattabiani, Lunario, Mondadori

domenica 29 marzo 2009

Il cenino della duchessona era una barba

Consigli alla signora che vuole "arrivare"

Abbia un cuoco francese, elargisca laute somme alle Opere benefiche capeggiate da dame autorevoli; inviti spesso qualche nobile, decaduto ma à la page, disposto a consigliarla e a pilotarla in cambio di un posto sempre disponibile a tavola. Abbia una casa arredata da un decoratore di gusto sicuro e piuttosto tradizionale (quadri moderni se crede, ma mobili antichi) e quando riuscirà a riunire nel suo salotto un mazzetto di marchese e contesse non imiti di colpo i loro modi di parlare; non inserisca a vanvera parole straniere nella conversazione; non inauguri un'aria annoiata e blasée; si dimostri invece felice di riceverle, di stare fra loro, dia a ognuna l'impressione che è quella, fra tutte, che lei ammira di più. Non evochi i "pensionnats svizzeri" della sua infanzia, "la collezione di porcellane cinesi" di suo padre, la "classe" che aveva sua nonna. Perderebbe di colpo la loro benevolenza. Meglio, piuttosto, inserire frasi di questo genere: "Io che non ho avuto un'infanzia privilegiata come tutte voi...", "Mio padre, che s'è fatto da sé..." ecc. Si dirà di lei che ha l'orgoglio di essere quello che è, e il coraggio di non rinnegare le sue origini. Non si associ troppo presto ai pettegolezzi delle sue nuove amiche, non dichiari che "il cenino della duchessona era una barba". Per molto tempo ancora questo linguaggio e queste malignità le sono vietate. Se qualcuno pronuncia in sua presenza un commento del genere, potrà tutto al più rispondere: "Può darsi, ma in tutti i casi io invidio alla duchessa i due Tiepolo del salone...", che non c'entra nulla, è vero, ma deporrà per la sua discrezione e per il suo amore per l'arte. Per concludere, se un giorno si accorgerà che nel mondo della "crema" non è tutto oro quello che riluce, non si atteggi a Grande Disillusa; dimostrerebbe solo leggerezza e malafede. In quel mondo lei ha voluto entrare non per cercarvi delle amicizie profonde, ma delle conoscenze brillanti. Non per riempire il vuoto dell'animo, ma per riempire il suo salotto. E tutto sommato ha avuto quel che ha voluto.

da Il saper vivere di Donna Letizia, Mondadori

giovedì 26 marzo 2009

Luna nuova, in Ariete. Dopo l'Equinozio di Primavera

Il marito della signora Rosi non era originario del paese di lei; per questo né la sua conoscenza né la sua compagnia erano mai state cercate, tanto più che a lui sembravano non interessare affatto - forse si sarebbe comportato diversamente in una comunità di persone un po' meno di paese, ma era ormai troppo tardi per scoprirlo.
Era morto. Pur essendo una presenza silenziosa, un fantasma, praticamente solo un nome vestito di un corpo, aveva scelto una maniera alquanto chiassosa di andarsene; un coup de théâtre.
Sembrava che i paesani non aspettassero altro - non tanto la morte del vecchio signore, no: volevano uno show.
L'unica che non aveva approfittato dell'occasione per schizzare di corsa fuori dalla propria ordinarietà era la signora Rosi; manteneva intatto il suo aplomb e quel senso dell'ironia che sfuggiva all'opacità delle menti di quel posto.
Non che non soffrisse; quello che la faceva stare male - o meglio, la indispettiva - era l'accanimento e la profusione di condoglianze di quella gente insipida e meschina, che pagava in questo modo il biglietto per poter assistere allo spettacolo della morte di suo marito. Ma l'aveva preventivato, così come aveva presentito con freddo intuito il piano di quell'uomo assurdo.

Achille Rosi era morto schiacciato da una palla di ferro, una di quelle che si usano per demolire i palazzi vecchi.
Il palazzo vecchio del caso era il piccolo condominio di fronte a casa Rosi, nel quale il signor Achille possedeva due piccoli locali che usava come studio; vale a dire che il signor Rosi trascorreva l'intera sua giornata là dentro, salvo il sacro momento della minestra, che aveva imposto a sua moglie come imprescindibile vincolo matrimoniale.
La mattina del fatto era uscito di casa prestissimo; la signora Rosi aveva creduto di scorgere in quella levataccia del sentimento, che portava il signor Rosi lontano per non assistere allo sbriciolamento del suo ritiro. In realtà, voleva semplicemente anticipare i muratori.
Era ancora troppo presto per stabilire se il signor Rosi fosse morto sepolto dalle macerie o proprio per il colpo della palla di ferro, fatto sta che lui stava lì sotto - era proprio lui, le pantofole ancora calzate lo testimoniavano.
La signora Rosi continuava a sbirciare sulla strada per poter scorgere l'ambulanza e i vigili del fuoco e per respingere con lo sguardo la folla di curiosi che si stavano dimostrando più tempestivi dei soccorsi.
La piccola Alma osservava la palla e le pantofole, stringendo con una mano il grembiule della sua nonna elettiva, e insistendo nel sostenere che il "nonno" non voleva essere schiacciato: voleva essere sparato via, il più lontano possibile.
"Basta, Alma. Qualcuno potrebbe finire per crederci e spettegolare". Ovviamente la signora Rosi sapeva che la bambina aveva perfettamente ragione.

"Stasera niente minestra. Vero, nonna?"